Quest’estate, sempre durante la mia permanenza a Volterra, amici del luogo mi hanno parlato di Nico Lopez Bruchi. Non mi sono fatta attendere come al solito. Un giorno, durante un caldo pomeriggio mentre sono comodamente seduta sul divano di casa e mi sto gustando una delle mie
amate sigarette, lo chiamo.
Telefonicamente mi preannuncia che avrebbe fatto una performance in volo la domenica successiva. Performance in volo; pensai. M’interessa saperne di più. Qualche giorno dopo, c’incontriamo per pranzo “da Beppino”, ristorante storico di Volterra rinomato per la sua eccellente cucina di peculiarità toscane. La nostra conversazione non poteva
iniziare in modo migliore.
Io: Nico, mi hanno parlato di te come un bravissimo street artist. Sei anche molto giovane a quanto vedo, non conosco il tuo storico ti ho contattato a scatola chiusa. La vogliamo aprire?
Nico: “A sedici anni ho sentito la necessità di esprimere il mio stato d’animo, che a quei tempi era contrastante con la realtà che stavo vivendo. Si erano rotti degli equilibri che mi collegavano a certe amicizie e alla famiglia. Ed è da questo momento di disagio che è iniziato il mio percorso di
ricerca introspettiva. Con la conseguenza di aver apportato un grande caos nella mia vita, che ho traghettato in un percorso artistico. Ho iniziato a dipingere, con le influenze del caso da parte dei grandi maestri dell’arte che in quel momento m’interessavano e che stavo studiando. Il mio
approccio con lo spray è avvenuto in un secondo momento e in una modalità poco convenzionale. Trascorrevo le mie estati in un campeggio sul mare e per gioco con i miei amici rubavamo biciclette per poi riverniciarle. L’atto dello spray mi colpì, soprattutto il risultato. Con pochi
spruzzi si poteva modificare l’identità di una bicicletta. Ho sentito una vibrazione, è avvenuto qualcosa, si è mosso qualcosa dentro di me. Da questo momento in poi sono iniziati i miei interventi illegali, che hanno contraddistinto l’inizio del mio percorso”.
Nico, avrei il piacere di sapere l’evoluzione del tuo lavoro. In che cosa si è sviluppato?
“Mi sono ritrovato nel mezzo e nel pieno del boom del tormentone street art, che ha dato vita ad una crew “Elektro Domestik Force” e collaborazioni con altri grandi artisti”.
Mi hai mostrato delle immagini che mettono in evidenza altri tuoi approcci artistici con altri linguaggi. Me ne vuoi parlare?.
“Dall’esigenza di dover documentare le esperienze che stavo facendo, è nato l’interesse da parte mia a sperimentare sia il linguaggio fotografico che video. Avendo approfondito queste tecniche, mi sono fermato un attimo per analizzare quello che stava accadendo nella mia vita e cercare di
trovare risposte ai perché e come io fossi arrivato fino a qui. Questi interrogativi, mi hanno portato ad allargare il punto di vista estendendo i miei interessi e la mia missione di vita. Ne è scaturito un nuovo approccio artistico, finalizzare i miei lavori ad un messaggio e alla costruzione di valori.
Provengo da una famiglia buddista, che ha influito non poco nel mio sviluppo lavorativo”.
Ho notato un quasi radicale abbandono alla street art per approdare alla scultura, ad interventi mirati, performance, disegno. E’ da questo momento e con questi nuovi linguaggi che ti sei sentito evoluto e “cresciuto”?
“Precisamente, è andata così. Le mie necessità mi hanno portato a sperimentare sia percorsi indipendenti che nuove collaborazioni artistiche. Ad un certo punto, mi sono reso conto che stavo vivendo per circostanza. Ciò che ho scoperto di maggiore interesse è stato il voler mandare un
messaggio a me stesso e ai fruitori. Fatto in location ad hoc che ben interpretano al meglio il mio pensiero. La finalità è stata muovere le coscienze, nello specifico nel mio territorio, nello specifico
Volterra e del mio ambiente, attraverso messaggi di carattere sociale. Come per esempio, in Toscana l’aver visto distruggere monumenti rinascimentali che denotano la storia di un paese e di conseguenza vandalizzati. Ho pensato di traghettare un linguaggio writer in altri contesti, tipo in
distese di grano con un progetto che ho intitolato “Tag Project”. Mettendo in relazione il valore della tecnica espressiva con l’ambiente. Un artista non deve deturpare, ma abbellire armoniosamente l’ambiente che lo circonda”.
Bene, siamo al caffè. Per la fase di digestione decidiamo di dirigerci verso l’ex manicomio Volterra e nelle campagne adiacenti. Nico vuole mostrarmi personalmente i suoi lavori ed io sono ben felice di accompagnarlo. Arriviamo alle porte del manicomio, oramai è un edificio abbandonato
a se stesso, ma è ancora percepibile al suo interno una forte carica di dolore e di tormento. Ho avvertito questa sensazione al solo mio ingresso.
Nico ha eseguito delle opere su alcune delle pareti e installazioni in alcune delle stanze.
Io: Nico, perché hai scelto proprio questa location?
“Per portare il mio punto di vista su ciò che non condivido. E’ stato un atto politico il mio, ho collaborato anche in Sicilia e Campania. Dire ciò che penso, da non votante, ma da individuo che vive. Questo ha avuto delle conseguenze, che mi gratificano tanto perché questo significa non aver
lavorato invano. Molti ragazzi hanno preso spunto dal mio percorso e hanno iniziato il loro processo evolutivo espressivo. Tutto ciò che ho realizzato è partito da mie personali esperienze vissute e sentite, integrate e arricchite da miei viaggi mirati in molti paesi del mondo dove ho
voluto lasciare anche lì un messaggio, lavorando in questi paesi e lasciare un seme di me e portar via una traccia di loro, che ha inesorabilmente arricchito la mia vita”.
Ti ho visto fare una performance, che fa parte di “Tag Project” con un paracadute, dove vuoi arrivare?
“C’è uno slogan “Sky is the limit” che è una canzone di Notorius Big, anche se non ho mai ascoltato l’hip hop. Quello che volevo fare con questa performance è relazionare l’adrenalina che si ha nel lancio nel vuoto a quella insita negli atti del writing illegale e il secondo obiettivo è stato:
rompere il limite”!
Sì, vedendo Nico e trascorrendoci del tempo è sicuramente molto forte in lui il voler manifestare e fermare attraverso qualsiasi forma artistica il suo pensiero ed il suo credo.
Dal mio canto non posso far altro che augurargli il meglio per la sua vita e per la sua carriera e a voi proporre una galleria d’immagini che ripercorrono il lavoro eseguito da questo giovane artista
toscano.
E dulcis in fundo aggiungo: Non c’è limite ai sogni!