I miei incontri con l’artista Francesco Orrù si sono sviluppati in due diversi momenti. Ho espressamente chiesto di poterlo incontrare dopo aver visto i suoi lavori. Mi sono subito fatta un’idea su di lui attraverso le sue opere; emozionanti, profonde, colte ed intelligenti; sapevo già da subito chi avrei incontrato. Il suo animo mi si è palesato immediatamente, non avevo dubbi.
Senza eccessi di presunzione da parte mia, ma solo in base ad una mia sensazione, ho preferito averne la conferma vedendo e confrontandomi con la sua persona.
Entrambi i nostri incontri sono avvenuti a Biella, dove lui vive e lavora. Il primo è stato conoscitivo e di piacere tra me, lui e Bianca Maria Rizzi. Il secondo, siamo stati io e lui da soli. Ho percepito sin da subito la sua volontà a volersi raccontare, di sua sponte senza che io gli facessi nessuna domanda. Ho voluto rispettare la sua volontà, senza intromissione alcuna, senza giudizio.
A voi: Francesco Orrù
“Inizio il mio percorso negli anni ’90. Incontro casualmente Omar Aprile Ronda, grande collezionista e gallerista che conoscevo già dall’età di quattordici anni. Rincontrandolo mi propone il ruolo di suo assistente, che in quel momento stava lui stesso dedicandosi all’arte in qualità di artista. Per me esperienza formativa per migliorare qualitativamente la mia formazione, di artista e di persona che ama l’arte ed in particolare la mia. Quest’esperienza diviene per me proficua perché in questi anni mi è stato possibile coniare sia lavori che appartengono agli addetti ai lavori del mondo dell’arte, sia personalità di artisti di fama internazionale che mi arricchiscono di sapere. Esperienza breve ma proficua poiché dopo un anno e mezzo lascio Omar per ritornare ad essere un artista indipendente.
Da questo momento in poi, gli elementi che erano già presenti nella mia ricerca artistica li condenso per realizzare le prime geometrie “spaziali” prive di concetti e poetiche. Contemporaneamente continuo a
portare avanti la mia espressione pittorica relativa e al mondo esperienziale di vita.
Vivo l’esperienza e la dipingo, la fermo sulla tela. L’iniziale ricerca spaziale mi permette di recuperare quell’esperenzialità di me bambino con la coppa celeste: “le mie emozioni, il mio incantamento e il mio spiegare i significati del mio vedere. Questi elementi sono le strutture racchiuse nella mia successiva elaborazione da adulto”.
Nel 1986 avevo iniziato a fissare dei punti nello spazio della carta. Punti che io coglievo direttamente dal cielo notturno il luogo in cui vivevo privo dell’inquinamento luminoso, mi dava la spinta e l’emozione per
cominciare il percorso di ricerca.
Nel 1990 realizzo su tela le prime tracce e le prime geometrie nello spazio, che risentono ancora di quel fare tradizionale pittorico, dal quale io presto cercherò di staccarmi. Avevo trovato il tema, avevo bisogno della
forma per esprimerla ma necessitavo anche come esprimermi a livello di concetto. L’artista deve conoscere tutta la storia dell’uomo e del suo fare rappresentativo, per cogliere quegli elementi che più si confanno al
suo personale modo di fare.
Dal ’90 fino al 1995-96 prosegue la ricerca che si esprime ancora in termini pittorici, pur avendo la matrice che è il fondo del mio lavoro che è il cielo, dove io inizio a scrivere le mie formule. Mi rendo conto della
necessità di staccarmi dalla mia espressione naturalistica, non è quello che voglio in fondo, ma esprimere il mito, la parte mitologica, non la natura nella sua manifestazione già espressa, ma il rapporto spirituale
dell’uomo con la natura e l’universo.
La spazialità che vado ad esprimere intorno al ‘2000 non ha funzione naturalistica, ma vuole indicare il mitico rapportarsi dell’uomo con il cosmo, il cielo, la natura, attraverso immagini dal contenuto simbolico e
alchemico.
Nel 2002 realizzo i “Trafugatori di stelle”, quest’intuizione mi spiazza, i trafugatori lasciano alle loro spalle una porzione di cielo bianco, abbagliante, luminosissimo. Si apre un’altra dimensione, passato lo stupore
iniziale comincio ad andare in crisi. Che cosa fare ora? Trovo la conseguente ragione dell’utilizzo di questa nuova dimensione del nuovo spazio trovato. Nel 2014 con l’opera “sottrarre alla metafisica” quella porzione di bianco, attraverso una proiezione ortogonale di concetto sulla superficie della terra, dandole significato e funzione, quella dell’uomo che
utilizza per proiettare.
La sua civilizzazione e crescita. Quel bianco ancora è fonte d’ispirazione e di ricerca. La mia espressione formale si va facendo sempre più minimale.
Lo schermo è bianco, che ci riporta alla dimensione trovata, che è stata utilizzata dall’uomo proiettandola sulla terra che ha permesso all’uomo di diventare “costruttore”. Quello che ora per me il bianco ci rimanda è
la sagoma simbolica dell’uomo che ha già oltrepassato la soglia del visibile e del percepibile. L’uomo che ha passato la soglia del percepibile del visibile e della percezione di sé”.
Confermo in toto la mia sensazione iniziale; Francesco è come mi aspettavo che fosse. Mi ha fatto immensamente piacere fare la sua conoscenza, il confronto con lui è stato per me motivo di arricchimento umano e artistico. Non posso che augurare a Francesco e all’arte che la ricerca continui eternamente.
Come sempre, la galleria immagini è a vostra disposizione.
Ringrazio la galleria “Bianca Maria Rizzi & Matthias Ritter”per la disponibilità dimostrata.