Volterra e l’alabastro: una chiacchierata con gli ultimi alabastrai

Durante la mia permanenza a Volterra, è stato mio desiderio voler approfondire l’argomento: alabastro.
Ogni giorno, mentre girovagavo per la città, m’imbattevo in negozi che vendevano oggetti di vario tipo e vario genere fatti con questa pietra. Ne sono rimasta affascinata dalla sua bellezza e scoprire tutto quello che è
possibile eseguire per mezzo di essa. E’ molto evidente che è una tipicità del luogo, tanto da farne una caratteristica di riconoscimento mondiale. Lavorato manualmente a Volterra, utilizzando pietra locale, minerale con grandi capacità tecniche ed espressive.

“…compendio della naturale saggezza ed intelligenza dell’artigiano italiano che ha saputo dare, in ogni tempo, capolavori tutt’oggi ammirati. Questa saggezza derivante da amore per la materia e intelligenza nel saper creare l’oggetto che alla materia corrisponde
(Volterra Alabastro Oggi, Dario Lupini)

L’alabastro è una delle più pregiate pietre ornamentali che l’uomo ha utilizzato fin dall’alba della civiltà. Il cui impiego nell’arte è consolidato nel corso dei secoli, nonostante l’inevitabile avvicendarsi di periodi di
maggiore affermazione ad altri di generale disaffermazione e di quasi completo abbandono in varie fasi storiche che hanno caratterizzato la sua presenza.

Potrebbe risultare motivo di dibattito sulla probabile scomparsa della lavorazione di questa antica pietra che sta per scomparire travolto dall’utilizzo di altri materiali. Questo, porterebbe inevitabilmente alla
scomparsa di un mestiere tipico di questa città, che contraddistingue Volterra come sua peculiarità sia per essere motivo di occupazione e sia come artigianato caratteristico italiano; segno distintivo a livello
mondiale.

Vorrei ricordare a tal proposito, ciò che sostiene Borgna, apparso nel ’61 in una rivista romana (volterra alabastro oggi di Ilario Lupini, pag 123): ”Un piccolo brutto posacenere, un anonimo vasetto che nulla hanno in comune con la tradizione locale, ma che sono stati ideati e creati dal maestro che proviene da altre regioni e che di tradizione popolare non sa niente. Sa spesso, malamente, qualche cosa della ceramica pre-colombiana, degli arlecchini di Picasso e, perfino, della scultura filiforme di Giacometti, alla pari degl’insegnanti di sessanta anni fa che conoscevano qualche futurista o lo stile Liberty. Gli artigiani più vecchi e abili del paese sono quasi sempre esclusi dall’insegnamento, seguitano a lavorare, ma sanno inevitabilmente con la loro morte anche questo o quel tipo di produzione morrà. Resteranno gli altri, gli artigiani diplomati”.

La manualità non può disperdersi, ne risentirebbe tutta la sfera della creatività, che non va annullata, ma altresì valorizzata. Quindi, è vero che soprattutto le scuole e istituti d’arte devono conservare e tramandare la pratica di vecchie tecniche. L’Italia è un Paese che si è sempre contraddistinto per le sue caratteristiche in merito a lavorazioni artigianali e arte. La perdita di tradizioni così importanti e storiche, a mio modesto parere, andrebbero a segnare inevitabilmente la perdita d’identità di un luogo, di una regione e di un’intera nazione. Questi sono patrimoni di grandezza inestimabile, di grandezza artistica di un popolo che vanno custoditi e mantenuti in vita, affinchè quest’arte continui a rimanere nella storia.

La mia sete di sapere mi ha naturalmente condotto da due famosi alabastrai volterrani. I quali, con grande simpatia e disponibilità mi hanno accolto nella loro bottega e mi hanno raccontato la loro storia.

Bottega Alab’Arte, Giorgio Finazzo e Roberto Chiti.

Ve li presento: Giorgio Finazzo e Roberto Chiti.

Giorgio Finazzo: “da bambino, la mia famiglia aveva un bar e i clienti erano gli alabastrai. Ho frequentato la scuola d’arte e ho fatto lo stage a bottega dagli sbozzatori. Per poi andare da altri artigiani che mi hanno
insegnato a rifinire l’opera… e poi come in tutti i mestieri non si finisce mai d’imparare”.

Roberto Chiti: “dopo le medie mi dissero che avevo una particolare predisposizione artistica. A 15 anni ho iniziato a lavorare l’alabastro a 16 anni misi su una piccola bottega con amici per poterci pagare le vacanze.
Ho seguito corsi professionali serali per imparare a lavorare l’alabastro. Avevo le idee molto chiare, era quello che volevo fare nella vita e non me ne pento. Finita la scuola iniziai a lavorare nella bottega del professore. Da lì a poco andai nella bottega del Rossi, dove ho incontrato Giorgio. Nel ’97 abbiamo costituito alabArte e da questo momento a ora abbiamo sempre lavorato insieme”.

Come avviene la lavorazione dell’alabastro?

“L’alabastro oltre ad essere un minerale è una pietra e deve essere scolpita come tutte le altre pietre. La lavorazione avviene per gradi, perché se io tolgo più alabastro di quel che devo sono in errore. L’alabastro è
una pietra didattica, perché è morbida e facilmente modellabile. Gli strumenti per la lavorazione per l’alabastro provengono dalla lavorazione del legno e del marmo, tranne che per la scuffina che è tipica della
lavorazione dell’alabastro”.

Quali sono le opere che fate maggiormente?

“Non lo sappiamo mai prima. Ho delle idee e realizzo tutto quello che mi viene in mente. Da sculture storiche e mezzi busti a ciotole e qualsiasi oggetto realizzabile”.

Quando è iniziata la collaborazione con la Galleria Continua di San Gimignano?

“La collaborazione è iniziata nel ’97. Con Anish Kapoor abbiamo fatto la prima realizzazione di opere a servizio dell’artista. Con Chen Zhen, abbiamo fatto un lavoro con lui e siamo andati a montarlo alla
Serpentine Gallery a Londra, un giardino zen interamente lavorato in alabastro”.

Avete intenzione di tramandare questa grande ricchezza?

“Questo argomento dovrebbe essere d’interesse da un punto di vista politico per la salvaguardia di un patrimonio culturale nazionale. Questa è una vecchia bottega che è difficile omologare ai nuovi standard
normativi, perderebbe la sua bellezza e la sua particolarità. Fosse per noi sarebbe un piacere e un onore tramandare il nostro sapere. Dopo di noi, oltre a pochissimi ragazzi non c’è più nessuno e si rischia di
perdere tutto questo”.

Com’è stato lavorare con i grandi artisti?

“Molto bello, perché mi sono trovato di fronte a persone alla mano e semplici, è stato un piacere. Mi hanno aiutato ad aprire la mente. Grazie all’arte!”

E’ stato per me motivo di grande piacere e crescita professionale confrontarmi con loro e con questa città.

Ringrazio tutti per la disponibilità e apertura dimostrata.
Come sempre, vi propongo una galleria d’immagini significative che ripercorrono la storia di alabArte.