Era da tempo che desideravo vedere una mostra che mi emozionasse cosi come piace a me e che fosse anche d’importante contenuto. Questa sera mi sono naturalmente diretta alla galleria di “Bianca Maria Rizzi&Matthias Ritter”, che prima di oggi non avevo mai visto.
Avevo conosciuto i galleristi in altra occasione lo scorso anno e verso i quali avevo subito nutrito grande simpatia; due persone fantastiche, di grande umanità e di grande apertura mentale. Ero curiosa di vedere il loro spazio e questa mi è sembrata l’occasione giusta.
Sono entrata e mi sono trovata di fronte ad uno spazio molto bello e adatta location per la mostra presente, c’è armonia tra il contenuto e la struttura che la ospita, ed inoltre c’è anche una bella armonia all’interno e ho pensato subito; questa mostra “arriva”. Il tutto ha predisposto bene me e i miei accompagnatori. Ci siamo coinvolti agli artisti presenti ed io gli ho chiesto di raccontarmi i loro lavori in diretta, seduta stante.
Due artisti che hanno vissuto l’orrore della guerra e ne portano dietro conseguenze e memoria e che in qualche modo lascia il segno negli uomini e nella loro natura.
Mihailo Karanovic e Mirsad Herenda; due artisti che non si conoscevano personalmente prima di questa sera e sono artisticamente un binomio perfetto, due linguaggi diversi che si completano a vicenda. Sembrano due aspetti della personalità della stessa persona e non due artisti diversi. Si sono naturalmente incontrati, l’uno parla attraverso la pittura e l’altro attraverso la scultura. L’uno è di provenienza serba e l’altro bosniaco.
Attraverso le loro opere parlano dell’uomo, della natura, della spiritualità marcando e non sottovalutando l’aspetto duro e crudo di un momento di vita e un momento storico non facile da dimenticare; è evidente nelle loro opere. Opere di piombo le ho chiamate io, dove c’è memoria, tristezza, ma anche speranza. Rappresentano alcuni momenti di tappe storiche oramai finite e superate, ma mai dimenticate.
Gli alberi di Herenda, sono mossi dall’ultimo vento prima della rinascita, della ricostruzione e di una nuova vita. Nella sua pittura Karanovich rappresenta la natura umana intrinseca nella natura stessa attraverso alberi esplosivi, con la caratteristica di essere simbolicamente contrassegante da simboli numerici e da date che vogliono contrassegnare momenti di vita e di storia che non si vogliono e non si possono dimenticare. Per Herenda, gli alberi sono provati e vissuti dal passare della storia e dal vissuto. Si trasformano, trasportano e si piegano di fronte alle calamita’ che li attraversano. Natura e ferro divengono in questa mostra elementi che si fondono nella natura stessa e nella vita degli uomini che ne fanno parte e che la rappresentano. Il ferro e l’arte come la storia lasciano e determinano i passaggi e ciò che caratterizza l’umanità. Cosa saremmo noi senza un minimo ricordo storico di ciò che è stato vissuto e cosa saremmo noi senza l’arte grazie alla quale si possono lasciare tracce di emozioni vissute e che continuano a vivere dentro di noi.
La sintonia e la bella energia presente durante la mostra ha avuto un naturale proseguo alla cena post mostra. Siamo in pochi ma con una ritmica sintonia fra di noi. Ho avuto modo di poter approfondire le mie impressioni avute durante la serata appena conclusa seduta ad un tavolo durante una cena in totale rilassatezza e spensieratezza. Io a capo tavola e i due artisti seduti uno di fianco all’altro sulla mia sinistra e la mia amica e anch’essa artista Xena Zupanic, seduta alla mia destra che mi ha aiutata nella comprensione della loro lingua per me totalmente incomprensibile. Chiedo di parlarmi in prima persona della loro arte e di ciò che vogliono esprimere attraverso di essa, in parte dando ragione a ciò che ho sentito dalla visualizzazione delle loro opere.
Per Karanovic, la sua analisi e ricerca artistica è contrassegnata: “dall’estetica del numero, dal rapporto uomo natura e da un’estetica nostalgica. L’artista deve mettere un problema pubblico che possa far porre delle domande alla società su un concetto aperto, attraverso l’allegoria e la metafora. L’artista deve creare motivo di dibattito. Mi rifaccio sempre ad artisti prima di me, dove vedo linguaggio e genio e poi ci metto del mio, delle mie sensazioni rispetto alla società attuale. Diviene così un prodotto di evoluzione. L’artista è come una spugna, raccoglie tutto quello che la società gli da e lo reinterpreta”.
Un atteggiamento di profonda ricerca e di studio il suo. Pronto a dire la sua e a lasciare un segno indelebile attraverso la sua pittura alle generazioni presenti e future.
Chiedo ad Herenda: “dove e in cosa vi siete ritrovati?” Herenda: “Penso nella nostra radice comune”. Riflessivo ed introspettivo mi osserva, forse per capire chi ha di fronte. E’ affascinato dal mio carattere mi dice, anche se non capisce assolutamente niente di quello che dico, mi sente. E’ un uomo di grande sensibilità, è un artista. Questo dimostra che nella vita non si ha bisogno di conoscere e capire. Le persone si capiscono anche senza necessariamente parlare la stessa lingua. Lui a differenza di Miranovic ricerca il divino, la parte spirituale presente più o meno in ognuno di noi. Dare alle sue opere un senso di movimento è molto importante per lui. Non sono frutto di un pensiero precostituito o programmato in anticipo. Nel momento in cui indossa la maschera di protezione per modellare il ferro, si fa trasportare liberamente dall’arte e dalle sensazioni e dalla naturalezza di ciò che avviene al di fuori dello spazio e del tempo. Così come il principio della sessualità che liberamente avviene e si costituisce libero e libero di creare, privo di sovrastrutture, così le sue opere si creano come destino vuole senza che lui lo preveda e si fa semplicemente trasportatore. Per metà della sua vita ha lavorato con il metallo. Tutte le sue opere sono fatte in ferro, ma sembrano assolutamente reali nella loro lavorazione. Gli alberi sembrano realmente di legno. Il metallo più importante è il ferro, mi dice. La lavorazione del ferro come elemento della natura stessa, attraverso il ferro vuole dare speranza.
Ringrazio i galleristi per la loro disponibilità e simpatia e la mia amica Xena Zupanic per aver tradotto il nostro dialogo e reso possibile questo articolo. La mia dedica e un in bocca al lupo per il proseguo della mostra e per la carriera e la vita dei due artistiti è:
“Non c’è via più sicura per evadere dal mondo che l’arte, ma non c’è via più sicura per entrare nel mondo che l’arte.” – Johann Wolfgang Von Goethe-