Solo dopo qualche tempo dalla sua ultima mostra Punti di fuga, qui a Milano, ho avuto modo e piacere di conoscere Silvia Beltrami. Il suo lavoro mi aveva allora, colpito in qualche modo, ma non avevo ancora avuto la possibilità di approfondire la sua ricerca artistica.
Sono flash esplosivi che creano una prospettiva accidentale; linee e forme che si intersecano tra assi paralleli, cerchi e tangenti ideali di vita.
Nello specifico vi è un’esplicita narrazione e interpretazione da parte dell’artista del sentire il mondo, il suo mondo in una linea prospettica globale e generazionale: il nostro tempo, o forse il non avere più tempo. O. meglio, non avere più IL tempo.
La Beltrami rappresenta uno spaccato di vita attraverso una poliedrica e selvaggia combinazione di carte, che diventano indicatori della frenesia assordante e cacofonica della nostra società, con i suoi variegati punti di vista e possibili punti di fuga: è, probabilmente, uno specchio che ci rappresenta.
Vi è la tendenza a costruisce e determinare la propria identità attraverso ciò che appare e la frenesia del messaggio da far fruire. Come dice Baudrillard,
non abbiamo più tempo per cercarci un’identità negli archivi, una memoria nel passato e, tantomeno, in una prospettiva, in un avvenire. Ci serve una memoria istantanea, una fissazione immediata, una specie di identità pubblicitaria pronta a verificarsi e ad esaurirsi, in un istante
L’istante, che determina la frammentarietà della nostra epoca.
La realtà di Silvia Beltrami è un processo di selezione, che suggerisce associazioni inedite grazie a frammenti e immagini che costruiscono nuove narrazioni.
Narrazioni individuali e collettive in una grande esplosione di carta e d’immagini riprese da giornali che costellano il nostro quotidiano e che rappresentano il nostro vivere, i nostri campi d’interesse, il nostro solo ed effimero guardare attraverso uno spazio e in un tempo talmente veloce da essere a volte indefinibile. La Beltrami riporta sul suo piano di lavoro, un concetto di “nuovo mondo”.
In occasione del nostro incontro, le ho rivolto qualche domanda.
Punti di fuga, perché?
Perché rappresenta il punto di vista del progetto, della prospettiva e il concetto di evasione della realtà.
L’arte per te è evasione?
Sì, l’arte per me è evasione. Mi aiuta a riflettere sulla nostra realtà contemporanea. Per questo mi occupo dei cambi generazionali che sono lo specchio della nostra società e delle nuove generazioni. Anche perché, i giovani, da quel che vedo, sono alla ricerca di un consolidamento d’identità.
Attualmente, la nostra società è frammentaria e priva d’identità e con tanti punti di vista. Utilizzo i frammenti della figura per comporre lo spazio. In punti di fuga ho utilizzato le diverse prospettive con i diversi punti di fuga.
Il collage è per te una tua nuova tecnica o è lo strumento che utilizzi da sempre?
No, il collage è nei miei interessi da sempre. Addirittura, quando mi sono laureata all’Accademia di Belle Arti di Brera ho presentato e discusso una tesi sul collage. Ed è sempre il linguaggio con cui mi esprimo meglio. Il mio interesse e la mia ricerca hanno avuto come oggetto anche la condizione femminile.
Perché?
Per quello che succede in Italia e non capisco se sia frutto più di un’emancipazione o di una regressione. Quello che mi ha fatto scattare la molla per la mia ricerca sulle esplosioni è stato un episodio di vita in particolare. Dopo aver visto un film di Antonioni, Zabriskie Point. Soprattutto nella scena finale, in cui c’era un esplosione di consumismo e la nostra identità frammentaria. Dovunque vai porti dietro con te il tuo mondo e le tue dinamiche.
Da dove prendi i tuoi pezzi per comporre il collage?
Riviste patinate.
Da cosa è nata questa tua passione?
La gioia del ritrovamento del frammento ideale. Questo non significa comporre un puzzle, ma comporre una mia idea! L’importante però, che esprima dinamicità e vita
Dedico all’artista e a tutti voi la scena finale di un film, che sicuramente merita di esser visto.