Io e Alfio Giurato abbiamo scelto la location del nostro incontro: la strada.
Sabato 21 novembre ore 18.00 ci siamo dati appuntamento in una via del centro di Milano, quella che ci tornava comodo ad entrambi per compatibilità di orari e spostamenti.
Non è stata una scelta casuale la nostra, io ho voluto e lui ha acconsentito, portare l’artista in giro dove vivono i soggetti che lui ritrae e analizza in forma privata, spogliandoli dalle loro maschere e mettendo in luce le loro vere identità che camuffano e nascondono in una società dove si è: uno, nessuno e centomila. Senza nessun itinerario ci siamo incamminati per le vie di Milan, l’unica cosa certa è, che ad entrambi piace camminare.
Questo è l’unico presupposto di partenza, per tutto il resto aperti alla vita. Alfio è un intimo comunicatore, ha come priorità attraverso la sua arte rapportarsi al prossimo senza nessuna presunzione da parte sua di analizzare dall’alto: “Il mio linguaggio voglio che arrivi a prescindere dall’estetica.
Io lancio un segnale e in qualche modo mi arriva il feedback”. L’artista rivolge la sua attenzione nei riguardi della gente, dell’umano, dal suo punto di vista è più puro. Il fattore umano, per Alfio, diventa la conditio sine qua non. Il suo intento è far passare fuori la poetica, usando come mezzo la lavorazione del quadro, del quale necessita obbligatoriamente, ma non conferendogli un’importanza prioritaria. A suo parere: “La musicalità è importante nell’opera se ben coordinata e interpretata per manifestare ciò che a me viene fuori, attraverso il passaggio da un tono all’altro. E’ semplice fare un bel lavoro, è tecnicismo, virtuosismo sterile, altro è fare un buon lavoro”.
Ciò che mi colpisce di lui osservandolo è la sua grande umiltà, lascia sempre che sia l’altro a giudicare. Mentre camminiamo mi rendo conto, che siamo per strada tra la gente, ma in realtà siamo soli, siamo in una stanza privata. La nostra conversazione è esclusivamente a due, il resto del mondo lo abbiamo lasciato fuori, ci siamo senza esserci.
Ad Alfio interessa molto la ricerca, anche perché la pittura è questo, in realtà. Per lui, la forma intesa come figura, per semplificarla e renderla leggibile, è necessario che la si conosca bene sia fuori che dentro. Cita Mondrian, che è anche uno dei miei artisti preferiti, perchè: da post impressionista riesce ad estremizzare le sue forme tanto da farle diventare quadrati e linee. Lo fa perché conosce bene il suo lavoro e la ricerca che applica. Attraverso le sue opere molto intime, dove chiude e analizza i suoi personaggi all’interno di stanze. In realtà sono soggetti che fanno parte del suo percorso di vita, i quali soffrono del mal di vivere, portato dal vivere odierno e lui cerca con grande sensibilità ed empatia di farla affiorare attraverso l’opera.
Tendenzialmente sono persone che vivono la loro vita in penombra: “Inizi a scavare per tirar fuori la loro intima essenza e la loro intima verità, attraverso il loro atteggiamento, i loro evidenti forme d’imbarazzo, i
loro momenti di solitudine”. I suoi personaggi sono esempi in larga scala che manifestano un malessere sociale. Siamo arrivati tra una chiacchiera ed un’altra, ma senza rendercene conto al Duomo, maestoso in tutta la sua bellezza. Rimaniamo qualche minuto incantati a guardarlo, è una bellezza senza tempo, bisognava farlo.
Decidiamo di prendere un aperitivo, dovevamo ristorarci e riposarci, scelgo l’ultimo piano della Rinascente, sempre con vista Duomo. Una chiacchierata artistica deve necessariamente concludersi in arte, in tutti i sensi. E’ venuto fuori anche un altro aspetto che lui analizza attraverso il suo lavoro. A lui piace anche lavorare sulla serialità dell’immagine e sulla ripetitività del modulo: “perché è come se rappresento dei manichini che vengono governati e manovrati da qualcosa più grande di loro fregandosene della perdita dell’individualità dell’essere umano”.
E’ molto attento ad approfondire sempre i suoi studi, non ha mai smesso di studiare in realtà. Penso sia stato uno studente modello. Cita sempre i grandi maestri del passato, i quali, secondo lui: “sono riusciti a massacrare la forma per far venire fuori l’interiorità”.
Sono incantata, ma in realtà me lo aspettavo dopo aver visto le sue opere, la profondità d’animo di questo artista e la sua grande sensibilità, lo sento. L’ho sentito anche guardando le sue opere. Ad un certo punto, quando ci siamo accomodati per prendere l’aperitivo ed abbeverarci un po’: Alfio ha
ordinato un sobrissimo thè, è proprio un bravo ragazzo, mi chiede una cortesia ed un desiderio, che io non ho esitato ad accontentare ed esaudire, perché vien dal cuore, è un pensiero sincero e vero. Mi parla della
sua esperienza di vita e di lavoro con Alberto Agazzani.
Alfio deve molto alla sua persona, ha tenuto a dirmelo, e continua in lui il suo vivo ricordo di grande affetto personale per essere stato il primo a credere in lui e nel suo lavoro, mettendolo in luce e non farlo più
vivere artisticamente in penombra e la sua persona rimarrà indelebile nella sua memoria e nella sua vita, come persona che gli ha cambiato la vita.
E qui propongo un momento condiviso da Alfio e Alberto nel momento d’allestimento di una sua mostra. E vi propongo inoltre, un suo lavoro fatto su carta ancora inedito, che ha il piacere di mostrarlo in anteprima,
è senza titolo e presumo lo rimarrà. Inoltre, proponiamo anche una piccola serie di opere scelte da me ed Alfio per voi. Una delle ultime espressioni prima di finire questa lunga, bellissima e arricchente chiacchierata, è stato: “Annalisa, sulla tela bisogna esprimersi sinceramente altrimenti si vede”, condivido in pieno questo pensiero.
Non gli ho fatto domande sui suoi progetti futuri, perché sicuramente ne avrà e sicuramente ce ne renderà partecipi. Ci siamo alzati, ci siamo congedati con l’augurio che tutto vada per il meglio nelle nostre rispettive vite e io glielo auguro di vero cuore e le nostre strade si sono divise.
Dedico ad Alfio una canzone di un gruppo a me molto caro, sono i Portishead e la canzone è Roads:
“Oh, can’t anybody see,
We’ve got a war to fight,
Never found our way,
Regardless of what they say.
How can it feel, this wrong,
From this moment,
How can it feel, this wrong.
Storm,
In the morning light,
I feel,
No more can I say,
Frozen to myself.
I got nobody on my side,
And surely that ain’t right,
Surely that ain’t right.
Oh, can’t anybody see,
We’ve got a war to fight,
Never found our way,
Regardless of what they say.
How can it feel, this wrong,
From this moment,
How can it feel, this wrong.
How can it feel this wrong,
From this moment,
How can it feel, this wrong.
Oh, can’t anybody see,
We’ve got a war to fight,
Never found our way,
Regardless of what they say.
How can it feel, this wrong,
From this moment,
How can it feel, this wrong”
Buon ascolto e buona lettura!