Qualche giorno fa ho avuto modo di vedere, per la prima volta il lavoro di Marion Piper. Di fronte alla visualizzazione delle sue opere, le mie reazioni sono state diverse, o meglio, ho avuto due reazioni differenti in due tempi diversi.
A essere sincera, il mio interesse non è stato immediato ma il ricordo di quella prima vista non è mai svanito, forse avevo bisogno di rifletterci su, così, dopo il mio iniziale scetticismo, vinse la curiosità e …. vi scoprii delle impronte, forse di un passaggio, il cui transito aveva lasciato l’ombra sulla carta, come una sorta di messaggio o linguaggio da codificare.
Subodorando che sbaglierei a fermarmi all’impressione iniziale, decido di recarmi da lei, nel suo studio non molto distante da Londra. Con grande disponibilità, di cui la ringrazio, mi ha raccontato il suo lavoro e la sua storia.
Uso due tipi di fogli differenti; uno, di scarsa qualità e l’altro di una qualità più pregiata. Il diverso assorbimento del colore e delle diverse sfumature è la mia idea di movimento. Anche nella mia vita, i movimenti sono rapidi e fermi a volte, e altre rapidi e profondi. Faccio l’artista dal 2012, prima faceva la designer, e dopo ho deciso d’iscriversi all’università e laurearmi in fine art.
Perché hai deciso di cambiare?
A me è piaciuto molto fare la designer, ma ad un certo punto mi sono resa conto di voler fare qualcosa solo per me. Ho sempre sentito nel mio profondo di essere un’artista e solo ora riesco a esprimermi veramente.
Da che cosa è partita la tua ricerca?
A me i fogli permettono di lavorare più velocemente. Ma soprattutto, appena ho iniziato a lavorare la carta mi è tornata in mente la mia infanzia. I libri che utilizzo, sono quelli per bambini. Quando ero bambina prendevo i libri di mia madre e li coloravo all’interno. Ora mi sono semplicemente evoluta. Adesso ho iniziato un nuovo lavoro, in cui ridisegno con il mio linguaggio all’interno di libri per artisti. Voglio creare un tipo di lettura, attraverso la quale non leggi solo parole, ma anche attraverso i disegni. E’ un contrasto. E’ da interpretare in base al disegno. Quello che io sento durante l’esecuzione di questi lavori è, che non mi sembra soltanto di disegnare, ma anche di scrivere. E’ tutto collegato a quello che ero da bambina e un po’ come se rivedessi Marion quando aveva cinque anni. Tutto il mio lavoro segna le fasi della mia crescita come artista. Qualsiasi cosa io faccia durante la giornata, vedo una qualsiasi forma che mi possa ispirare per poterlo rappresentare. Il mio lavoro rappresenta quella che io sono. E’ quello che mi porto dietro, dove sono andata, cosa mi è successo durante la giornata, anche il tempo mi può ispirare.
Che bambina era Marion?
Ero una bambina, pensatrice e disegnatrice e adoravo sentire i vari materiali per averne la sensazione. Tutti i miei ricordi li rappresento nel mio lavoro.
Che cosa hai disegnato sul tuo primo quaderno d’artista?
Sul mio primo libro ho fatto un collage astratto che io ho sentito; è stato lo specchio di quello che pensavo. All’Università, il mio libro preferito è stato “Le città invisibili” di Italo Calvino ed ho amato talmente tanto quel libro, che ho riportato lo stesso concetto del libro in quello che faccio, parole e immaginazione come se fossero due mondi paralleli. Il mio lavoro può essere interpretato a modo proprio. Per me, quello che eseguo è un linguaggio di scrittura per altri di lettura.
Quanto si sente cresciuta Marion da quella bambina?
Sono sempre la stessa!
Quando è stata la tua prima mostra e la tua ultima?
Subito dopo la mia laurea ho fatto una mostra, per la quale sono stata selezionata dall’università come miglior artista per esporre, dove oltre alle opere esposte ne ho prodotte altre anche davanti alla gente. Due settimane fa, ho partecipato ad una collettiva dal titolo: “Drawbridge”.
I tuoi progetti futuri?
Farò una mostra a Parigi in Ottobre. In futuro vorrei fare una mostra, dove io possa rappresentare il mio lavoro con tutte le sue differenze ed eseguita con la stessa logica che si ha per scrivere un libro. In ogni pagina del libro si ha una sensazione diversa ed è quello che mi piacerebbe fornire al fruitore mentre guarda la mia mostra. Come se ognuno si potesse fare il proprio viaggio con le proprie sensazioni. E ad ogni mio lavoro ho sempre dato il titolo come se fosse il capitolo di un libro, ma non lo sapevo mentre lo facevo. E so, che piano piano mi condurranno ad un lavoro finale. Ciò che desidero è che i fruitori della mostra possano fare un viaggio individuale.
Nell’ascoltare le parole di Marion mi è venuto in mente un altro scrittore, di cui al liceo lessi un meraviglioso libro, sulla funzione del ricordo e dell’arte.
Ma nello stesso istante in cui il liquido al quale erano mischiate le briciole del dolce raggiunse il mio palato, io trasalii, attratto da qualcosa di straordinario che accadeva dentro di me. Una deliziosa voluttà mi aveva invaso, staccata da qualsiasi nozione della sua causa. Di colpo aveva reso indifferenti le vicissitudini della vita, inoffensivi i suoi disastri, illusoria la sua brevità, agendo nello stesso modo dell’amore, colmandomi di un’essenza preziosa: o meglio, quell’essenza non era dentro di me, IO ero quell’essenza. Avevo smesso di sentirmi mediocre, contingente, mortale. Da dove era potuta giungermi una gioia così potente? Sentivo che era legata al sapore del tè e del dolce, ma lo superava infinitamente, non doveva condividerne la natura. Da dove veniva? Bevo una seconda sorsata nella quale non trovo nulla di più che nella prima, una terza che mi dà un po’ meno della seconda. E’ tempo che mi fermi, la virtù del filtro sembra diminuire. E’ chiaro che la verità che cerco non è lì dentro, ma in me
(Marcel Proust, Alla ricerca del tempo perduto)