Annalisa D’Amelio Kritika London based intervista Charley Peters

Il colore mi possiede. Non ho bisogno di afferrarlo. Mi possiede per sempre, lo sento. Questo è il senso dell’ora felice: io e il colore siamo tutt’uno. Sono pittore
(Paul Klee)

Questa è stata la frase a cui ho pensato la prima volta che ho visto i lavori di Charley Peters. La mia curiosità ha preso, come sempre, il sopravvento. Sono andata nel suo studio, a sud di Londra, per incontrarla e confrontarmi con lei sul suo lavoro e sulle sue emozioni.

Le stesse emozioni che manifesta per via della sua incontenibile vitalità, che è molto evidente conoscendola di persona, ma che allo stesso tempo cerca di ingabbiare, o forse, è un puro atto di negazione. Come se, dopo averle provate, se ne vergognasse e le volesse perimetrare per potersele, in qualche modo spiegare.  Nei suoi lavori, non vi è un caos emozionale, ma bensì un’armoniosa  concatenazione emozionale.

Sono rimasta piacevolmente sorpresa dalla voglia di sperimentare che mette l’artista nei suoi lavori. In un breve lasso di tempo, è passata dal solo lavoro su carta eseguito in bianco e nero  ad una differente dinamica e  sperimentazione di vari materiali e forme.

La stasi non le appartiene.

Da quanti anni fai questo lavoro?

Ho iniziato a dipingere da quattro/cinque anni, prima disegnavo soltanto. Il mio lavoro era solo in bianco e nero, i colori sono arrivati in un secondo momento. Durante un viaggio a Roma sono andata a visitare il Pantheon e ho visto la luce che si rifletteva al suo interno e ho iniziato a capire tutto; colori, spazi, ombre. Tutto questo è stato per me fonte d’ispirazione.

Un cambiamento radicale. In quale ti riconosci?

La superficie del quadro per me è molto importante. Ed è molto più importante dell’immagine stessa. Ecco perché, utilizzo materiali diversi; legno e alluminio. Anche la tecnica dello spray  sui  miei lavori cambia in base a dove la utilizzo e dall’effetto diverso inizio a lavorare con emozioni diverse. Mi piace usare superfici fredde e per mezzo dei colori dargli delle emozioni.

Scegli prima i colori o sono casuali?

Tutti i miei lavori iniziano con dei colori, ma non li pianifico mai.

Nei tuoi lavori c’è molta differenza, colori con geometrie che s’incontrano e si scontrano…

E’ una battaglia dentro la mia testa. Sono molto emozionale, ma cerco di controllare e divento più analitica. Naturalmente sono emozionale ed impulsiva, ma so che non è una cosa che va bene e cerco di controllarla.

La mostra  che ricordi con più emozione?

La mia prossima mostra, dove mi è stato possibile mostrare tutto il mio lavoro ed utilizzare più dimensioni, cosa che a me piace molto. La mostra s’intitola: The future ed è parte di un festival molto grande che ci sarà a Londra per due settimane.

Progetti per il futuro?

Tra due settimane una collettiva dal titolo: “Sea of data”. Tre pittori che usano la tecnica astratta per mandare informazioni digitali, ma io non sono brava con il computer. A Novembre un’altra collettiva dal titolo: The nature of painting.

Come vivi il movimento? Vedo molte vibrazioni emozionali nei tuoi lavori. Riflettono lo stato d’animo del momento?

Il movimento è una cosa recente per me. Sono passata dalla stasi a distruggere il geometrico per creare movimento. Azione che pianifico, ed è il quel momento che so che è finito. Sento che è una cosa brutta da fare, ma è quello che sento e dopo averlo fatto m i sento meglio emozionalmente. So che tutti i quadri avranno un punto di distruzione. Il quadro ha inizio da un istinto, poi passo al geometrico e poi riviene fuori il mio impulso e distruggo. Questa è la mia battaglia. Questa sono io.

E’ un’azione liberatoria?

Assolutamente sì

Nel momento in cui ho scritto quest’intervista, mi è venuto in mente un brano dei Coldplay: Every teardrop is a wanderfull.. Buone emozioni a tutti!