Street Art Before Street Art Francesco Garbelli

E’ il momento dello “street”, street art, street food ecc. ecc. Ma quello che oggi è tanto in voga e ben accetto sia dalle istituzioni, che dalla comunicazione che dalla gente, nasce da un passato poco felice e di
una lunga affermazione nell’olimpo dell’arte. Inizialmente era qualcosa di totalmente illegale e sconosciuto, non era particolarmente ben visto, anzi non gli veniva conferita nessuna capacità linguistica e di comunicazione dietro, era un semplice “imbrattamento cittadino”.
Conosco, qualche settimana fa durante l’inaugurazione della mia mostra “Welcome To The Jungle” a Spazio Tadini, Francesco Garbelli. Colui il quale ha dovuto faticare per accreditarsi nel mondo della street art.
Durante il vernissage non vi è stato modo, per ovvi motivi, di poter approfondire questo discorso. Ma, come ben sapete oramai, io non lascio niente al caso. Prendo un appuntamento nel suo studio per capirne
di più. Mi faccio raccontare e vi racconto questa storia. Erano gli Anni ’80, consegue la Laurea in Architettura, dopo aver frequentato il liceo artistico qui a Milano. Durante i suoi studi universitari nasce il suo vero interesse per l’arte. Lui aveva una particolare predilezione per i graffitisti americani. “Ero sicuro che non avrei fatto l’architetto e neanche in studio a dipingere come andava di moda all’epoca”. Francesco aveva dentro di se un movimento tutto suo, una sua strada non conforme alle regole. Da questo momento in poi, denominerà la sua arte come; “interventi”.

“Sono stato l’ideatore e il promotore di una mostra nell’84, ancora studente di architettura. Io ed altri studenti scoprimmo l’esistenza di una grande fabbrica che l’ex “Brown-Boveri”, abbandonata da più di vent’anni. Facemmo un sopralluogo e rimanemmo folgorati. Eravamo più di quaranta che nel maggio dell’85 tenemmo a battesimo la nostra prima mostra che aveva lo stesso titolo del luogo che la rappresentava. In quell’occasione feci un lavoro; presi una serie di e scrissi la parola “altare”. Perché mi
ricordava una vecchia cattedrale sconsacrata. Da lì ho iniziato a fare l’artista in maniera naturale e inconsapevole. Mi sono lasciato trasportare anche dagli entusiasmi del momento che hanno caratterizzato quegli anni. Da quel momento in poi, decisi qual’ era il tipo di orientamento che avrei preso in esame durante tutto il mio percorso di lavoro e di carriera. Ho iniziato a fare degli interventi legati sull’uso della parola”. E dopo un’attenta analisi e riflessione, Francesco decide il linguaggio espressivo che avrebbe adottato.
“ Mi venne in mente che in fondo la segnaletica stradale è un linguaggio pre analfabetico, pittografico e universale. Se avessi iniziato a comunicare con questo linguaggio potevo in qualche modo superare la parola, vedevo il futuro, l’utilizzo dell’icona per me avrebbe preso il sopravvento, lavorare sull’immagine con la stessa capacità comunicativa della parola. La segnaletica aveva le sembianze dell’immagine con la potenzialità della parola. La potenza educativa che ti permette d’immaginare legandola anche al tuo vissuto, questo è il bello della parola. Allora non era di moda questo tipo di linguaggio, sono stato molto criticato dal mondo dell’arte, ma in compenso, avevo risposte da parte dei media, che mi hanno fatto
pensare di continuare su questa strada. All’inizio, feci delle mostre all’estero dove il mio linguaggio non era più abusivo, ma ben accetto, da sempre oltralpe si sono mostrati più avanti in questo senso. Feci la prima
mostra in Italia nell’88 alla galleria Murnik, che ora non esiste più, dal titolo “cercare una mostra”. Feci degli interventi al di fuori della galleria e portai all’interno della galleria le immagini. Feci una piantina degli
interventi che avevo fatto esternamente perché la mostra ei pezzi d’arte erano all’esterno. Ho continuato sempre in questo senso con “operazione zebra” nell’89 sia a Brera che all’Arco della Pace. Ho fatto anche
degli interventi sulla toponomastica, dal titolo “la via delle frasi fatte” ’92 ed erano frasi che narravano il quotidiano comunicativo che avveniva tra la gente. Ho iniziato da via Farini fino a Piazzale Baiamonti. Mi sono occupato sempre della realtà e a volte questo mi ha portato ad essere anche premonitore”.Il suo linguaggio artistico ha una poetica molto diversa da qualsiasi altro tipo di arte. Lui pone la gente, attraverso i simboli che è abituato a vedere, di fronte ad una sorpresa, a qualcosa di inaspettato ad una riflessione, conduce la gente a porsi delle domande. Per lui la street art non è soltanto un’azione fatta per poter abbellire il luogo dove ognuno di noi è abituato a vivere. Francesco cerca di far interagire e coinvolgere le
persone con i simboli che è abituato a vedere, ma mostrandoglieli da una prospettiva differente. I nomi delle vie non hanno più dei connotati storici o in memoria di personaggi famosi, ma sono caratterizzati dal linguaggio comune che direziona la gente e al tempo stesso si può essere ed entrare nella storia anche ognuno di noi. Ha deciso dopo una pausa di iniziare a lavorare dal 2013 in maniera differente su questo linguaggio è ha dato vita alla scacchiera a altri lavori di cui vi propongo delle immagini. Immagini e lavori che si sono evoluti con la storia con le domande che lui stesso si pone nei riguardi della realtà. Che allora non avrebbe potuto prevedere. Oggi continua a riprendere quei vecchi linguaggi riproponendoli e
vedendoli da una prospettiva completamente diversa, diverso in un mondo totalmente cambiato.

Ringrazio Francesco per la bellissima narrazione storico artistica.
La mia dedica personale per lui e per tutti voi è il più bell’invito che io abbia mai ascoltato nella mia vita;

Stay Hungry Stay Foolish
Il discorso di Steve Jobs agli studenti della Stanford University:

“Sono onorato di essere qui con voi oggi alle vostre lauree in una delle migliori università del mondo. Io non mi sono mai laureato. Anzi, per dire la verità, questa è la cosa più vicina a una laurea che mi sia mai capitata. Oggi voglio raccontarvi tre storie della mia vita. Tutto qui, niente di
eccezionale: solo tre storie.
La prima storia è sull’unire i puntini.
Ho lasciato il Reed College dopo il primo semestre, ma poi ho continuato a frequentare in maniera ufficiosa per altri 18 mesi circa prima di lasciare veramente. Allora, perché ho mollato?
E’ cominciato tutto prima che nascessi. Mia madre biologica era una giovane studentessa di college non sposata, e decise di lasciarmi in adozione. Riteneva con determinazione che avrei dovuto essere
adottato da laureati, e fece in modo che tutto fosse organizzato per farmi adottare fin dalla nascita da un avvocato e sua moglie. Però quando arrivai io loro decisero all’ultimo minuto che avrebbero voluto adottare una bambina. Così quelli che poi sono diventati i miei genitori adottivi e che erano in lista d’attesa, ricevettero una chiamata nel bel mezzo della notte che gli diceva: “C’è un bambino, un maschietto, non previsto. Lo volete voi?” Loro risposero: “Certamente”. Più tardi mia madre biologica scoprì che mia madre non si era mai laureata al college e che mio padre non aveva
neanche finito il liceo. Rifiutò di firmare le ultime carte per l’adozione. Poi accetto di farlo, mesi dopo, solo quando i miei genitori adottivi promisero formalmente che un giorno io sarei andato al college.
Diciassette anni dopo andai al college. Ma ingenuamente ne scelsi uno altrettanto costoso di Stanford, e tutti i risparmi dei miei genitori finirono per pagarmi l’ammissione e i corsi. Dopo sei mesi, non riuscivo a vederci nessuna vera opportunità. Non avevo idea di quello che avrei voluto
fare della mia vita e non vedevo come il college potesse aiutarmi a capirlo. Eppure ero là, che spendevo tutti quei soldi che i miei genitori avevano messo da parte lavorando per tutta la loro vita.
Così decisi di mollare e avere fiducia che tutto sarebbe andato bene lo stesso. Era molto difficile all’epoca, ma guardandomi indietro ritengo che sia stata una delle migliori decisioni che abbia mai preso. Nell’attimo che mollai il college, potei anche smettere di seguire i corsi che non mi interessavano e cominciai invece a capitare nelle classi che trovavo più interessanti.Non è stato tutto rose e fiori, però. Non avevo più una camera nel dormitorio, ed ero costretto a dormire sul pavimento delle camere dei miei amici. Guadagnavo soldi riportando al venditore le bottiglie di Coca cola vuote per avere i cinque centesimi di deposito e poter comprare da mangiare.
Una volta la settimana, alla domenica sera, camminavo per sette miglia attraverso la città per avere finalmente un buon pasto al tempio Hare Krishna: l’unico della settimana. Ma tutto quel che ho trovato seguendo la mia curiosità e la mia intuizione è risultato essere senza prezzo, dopo. Vi faccio subito un esempio.
Il Reed College all’epoca offriva probabilmente la miglior formazione del Paese relativamente alla calligrafia. Attraverso tutto il campus ogni poster, ogni etichetta, ogni cartello era scritto a mano con calligrafie meravigliose. Dato che avevo mollato i corsi ufficiali, decisi che avrei seguito la
classe di calligrafia per imparare a scrivere così. Fu lì che imparai dei caratteri serif e san serif, della differenza tra gli spazi che dividono le differenti combinazioni di lettere, di che cosa rende grande una stampa tipografica del testo. Fu meraviglioso, in un modo che la scienza non è in grado di offrire, perché era artistico, bello, storico e io ne fui assolutamente affascinato. Nessuna di queste cose però aveva alcuna speranza di trovare una applicazione pratica nella mia vita. Ma poi, dieci anni dopo, quando ci trovammo a progettare il primo Macintosh, mi tornò tutto utile. E lo utilizzammo tutto per il Mac. E’ stato il primo computer dotato di una meravigliosa capacità tipografica. Se non avessi mai lasciato il college e non avessi poi partecipato a quel singolo corso, il Mac non avrebbe probabilmente mai avuto la possibilità di gestire caratteri differenti o font
spaziati in maniera proporzionale. E dato che Windows ha copiato il Mac, è probabile che non ci sarebbe stato nessun personal computer con quelle capacità. Se non avessi mollato il college, non sarei mai riuscito a frequentare quel corso di calligrafia e i persona computer potrebbero non avere quelle stupende capacità di tipografia che invece hanno. Certamente all’epoca in cui ero al college era impossibile unire i puntini guardando il futuro. Ma è diventato molto, molto chiaro dieci anni dopo, quando ho potuto guardare all’indietro.
Di nuovo, non è possibile unire i puntini guardando avanti; potete solo unirli guardandovi all’indietro. Così, dovete aver fiducia che in qualche modo, nel futuro, i puntini si potranno unire.
Dovete credere in qualcosa – il vostro ombelico, il destino, la vita, il karma, qualsiasi cosa. Questo tipo di approccio non mi ha mai lasciato a piedi e invece ha sempre fatto la differenza nella mia vita.
La mia seconda storia è a proposito dell’amore e della perdita
Sono stato fortunato: ho trovato molto presto che cosa amo fare nella mia vita. Woz e io abbiamo fondato Apple nel garage della casa dei miei genitori quando avevo appena 20 anni. Abbiamo lavorato duramente e in 10 anni Apple è cresciuta da un’azienda con noi due e un garage in una
compagnia da due miliardi di dollari con oltre quattromila dipendenti. L’anno prima avevamo appena realizzato la nostra migliore creazione – il Macintosh – e io avevo appena compiuto 30 anni, e in quel momento sono stato licenziato. Come si fa a venir licenziati dall’azienda che hai creato?
Beh, quando Apple era cresciuta avevamo assunto qualcuno che ritenevo avesse molto talento e capacità per guidare l’azienda insieme a me, e per il primo anno le cose sono andate molto bene. Ma poi le nostre visioni del futuro hanno cominciato a divergere e alla fine abbiamo avuto uno scontro.

Quando questo successe, il Board dei direttori si schierò dalla sua parte. Quindi, a 30 anni io ero fuori. E in maniera plateale. Quello che era stato il principale scopo della mia vita adulta era andato e io ero devastato da questa cosa.

Non ho saputo davvero cosa fare per alcun imesi. Mi sentivo come se avessi tradito la generazione di imprenditori prima di me – come se avessi lasciato cadere la fiaccola che mi era stata passata. Incontrai David Packard e Bob Noyce e tentai di scusarmi per aver rovinato tutto così malamente.
Era stato un fallimento pubblico e io presi anche in considerazione l’ipotesi di scappare via dalla Silicon Valley. Ma qualcosa lentamente cominciò a crescere in me: ancora amavo quello che avevo fatto. L’evolvere degli eventi con Apple non avevano cambiato di un bit questa cosa. Ero stato respinto, ma ero sempre innamorato. E per questo decisi di ricominciare da capo. Non me ne accorsi allora, ma il fatto di essere stato licenziato da Apple era stata la miglior cosa che mi potesse succedere. La pesantezza del successo era stata rimpiazzata dalla leggerezza di essere di nuovo un debuttante, senza più certezze su niente. Mi liberò dagli impedimenti consentendomi di entrare in uno dei periodi più creativi della mia vita. Durante i cinque anni successivi fondai un’azienda chiamata NeXT e poi un’altra azienda, chiamata Pixar, e mi innamorai di una donna meravigliosa che sarebbe diventata mia moglie. Pixar si è rivelata in grado di creare il primo film in animazione digitale, Toy Story, e adesso è lo studio di animazione più di successo al mondo. In un significativo susseguirsi degli eventi, Apple ha comprato NeXT, io sono ritornato ad Apple e la tecnologia sviluppata da NeXT è nel cuore dell’attuale rinascimento di Apple. E Laurene e io abbiamo una meravigliosa famiglia. Sono sicuro che niente di tutto questo sarebbe successo se non fossi stato licenziato da Apple. E’ stata una medicina molto amara, ma ritengo che fosse necessaria per il paziente. Qualche volta la vita ti colpisce come un mattone in testa. Non perdete la fede, però. Sono convinto che l’unica cosa che mi ha trattenuto dal mollare tutto sia stato l’amore per quello che ho fatto. Dovete trovare quel che amate. E questo vale sia per il vostro lavoro che per i vostri affetti. Il vostro lavoro riempirà una buona parte della vostra vita, e l’unico modo per essere realmente soddisfatti è fare quello che riterrete un buon lavoro. E l’unico modo per fare un buon lavoro è amare quello che fate. Se ancora non l’avete trovato, continuate a cercare. Non accontentatevi. Con tutto il cuore, sono sicuro che capirete quando lo troverete. E, come in tutte le grandi storie, diventerà sempre migliore mano a mano che gli anni passano. Perciò, continuate a cercare sino a che non lo avrete trovato. Non vi accontentate.
La mia terza storia è a proposito della morte.
Quando avevo 17 anni lessi una citazione che suonava più o meno così: “Se vivrai ogni giorno come se fosse l’ultimo, sicuramente una volta avrai ragione”. Mi colpì molto e da allora, per gli ultimi 33 anni, mi sono guardato ogni mattina allo specchio chiedendomi: “Se oggi fosse l’ultimo
giorno della mia vita, vorrei fare quello che sto per fare oggi?”. E ogni qualvolta la risposta è “no” per troppi giorni di fila, capisco che c’è qualcosa che deve essere cambiato.Ricordarsi che morirò presto è il più importante strumento che io abbia mai incontrato per fare le grandi scelte della vita. Perché quasi tutte le cose – tutte le aspettative di eternità, tutto l’orgoglio, tutti i timori di essere imbarazzati o di fallire – semplicemente svaniscono di fronte all’idea della morte, lasciando solo quello che c’è di realmente importante. Ricordarsi che dobbiamo morire è il modo migliore che io conosca per evitare di cadere nella trappola di chi pensa che avete qualcosa da perdere. Siete già nudi. Non c’è ragione per non seguire il vostro cuore.
Più o meno un anno fa mi è stato diagnosticato un cancro. Ho fatto la scansione alle sette e mezzo del mattino e questa ha mostrato chiaramente un tumore nel mio pancreas. Non sapevo neanche che cosa fosse un pancreas. I dottori mi dissero che si trattava di un cancro che era quasi sicuramente di tipo incurabile e che sarebbe stato meglio se avessi messo ordine nei miei affari (che è il codice dei dottori per dirti di prepararti a morire). Questo significa prepararsi a dire ai tuoi figli in pochi mesi
tutto quello che pensavi avresti avuto ancora dieci anni di tempo per dirglielo. Questo significa essere sicuri che tutto sia stato organizzato in modo tale che per la tua famiglia sia il più semplice possibile. Questo significa prepararsi a dire i tuoi “addio”. Ho vissuto con il responso di quella diagnosi tutto il giorno. La sera tardi è arrivata la biopsia, cioè
il risultato dell’analisi effettuata infilando un endoscopio giù per la mia gola, attraverso lo stomaco sino agli intestini per inserire un ago nel mio pancreas e catturare poche cellule del mio tumore. Ero sotto anestesia ma mia moglie – che era là – mi ha detto che quando i medici hanno visto le cellule sotto il microscopio hanno cominciato a gridare, perché è saltato fuori che si trattava di un cancro al pancreas molto raro e curabile con un intervento chirurgico. Ho fatto l’intervento chirurgico e adesso sto bene.
Questa è stata la volta in cui sono andato più vicino alla morte e spero che sia anche la più vicina per qualche decennio. Essendoci passato attraverso posso parlarvi adesso con un po’ più di cognizione di causa di quando la morte era per me solo un concetto astratto e dirvi:
Nessuno vuole morire. Anche le persone che vogliono andare in paradiso non vogliono morire per andarci. E anche che la morte è la destinazione ultima che tutti abbiamo in comune. Nessuno gli è mai sfuggito. Ed è così come deve essere, perché la Morte è con tutta probabilità la più grande
invenzione della Vita. E’ l’agente di cambiamento della Vita. Spazza via il vecchio per far posto al nuovo. Adesso il nuovo siete voi, ma un giorno non troppo lontano diventerete gradualmente il vecchio e sarete spazzati via. Mi dispiace essere così drammatico ma è la pura verità.
Il vostro tempo è limitato, per cui non lo sprecate vivendo la vita di qualcun altro. Non fatevi intrappolare dai dogmi, che vuol dire vivere seguendo i risultati del pensiero di altre persone. Non lasciate che il rumore delle opinioni altrui offuschi la vostra voce interiore. E, cosa più importante
di tutte, abbiate il coraggio di seguire il vostro cuore e la vostra intuizione. In qualche modo loro sanno che cosa volete realmente diventare. Tutto il resto è secondario. Quando ero un ragazzo c’era una incredibile rivista che si chiamava The Whole Earth Catalog, praticamente una delle bibbie della mia generazione. E’ stata creata da Stewart Brand non molto lontano da qui, a Menlo Park, e Stewart ci ha messo dentro tutto il suo tocco poetico. E’ stato alla fine degli anni Sessanta, prima dei personal computer e del desktop publishing, quando tutto era fato con macchine da scrivere, forbici e foto polaroid. E’ stata una specie di Google in formato cartaceo tascabile, 35 anni prima che ci fosse Google: era idealistica e sconvolgente, traboccante di concetti chiari e fantastiche nozioni.

Stewart e il suo gruppo pubblicarono vari numeri di The Whole Earth Catalog e quando arrivarono alla fine del loro percorso, pubblicarono il numero finale. Era più o meno la metà degli anni Settanta e io avevo la vostra età. Nell’ultima pagina del numero finale c’era una fotografia di una
strada di campagna di prima mattina, il tipo di strada dove potreste trovarvi a fare l’autostop se siete dei tipi abbastanza avventurosi. Sotto la foto c’erano le parole: “Stay Hungry. Stay Foolish.”, siate affamati, siate folli. Era il loro messaggio di addio. Stay Hungry. Stay Foolish. Io me lo sono
sempre augurato per me stesso. E adesso che vi laureate per cominciare una nuova vita, lo auguro a voi”.

Stay Hungry. Stay Foolish.

Steve Jobs